GM
Mi ci è voluta qualche settimana per metabolizzare la notizia della scomparsa di George Michael che, unita quella di David Bowie, Prince, Peter Burns e Leonard Cohen, ha fatto del 2016 un anno orrendo per chi sta appresso al mondo della musica.
In ordine cronologico, piace ricordarlo così:
Careless whisper: il suo primo singolo solista, per quanto tecnicamente scritto da entrambi gli Wham!. L’assolo di sassofono fa anni ’80 quanto i paninari e l’Atari:
I knew you were waiting for me: il duetto con Aretha Franklin fu il momento preciso che mi fece dire “WOW”. La seconda metà della canzone, quando vanno entrambi un po’ ad libidem, è spettacolare:
Poi venne Faith (1987), il suo primo album da solo, un gigantesco successo ovunque ma soprattutto negli Stati Uniti. L’attacco di chitarra del brano che dà il titolo al disco occupa da solo uno posto nella storia ed è finito pure in una puntata del Dr. House:
Il suo secondo album, Listen without prejudice (1990), fu meno fortunato negli States (ma in patria vendette più di Faith) ed è verosimilmente il suo disco migliore, quello di Freedom 90. Ma è anche il disco aperto da Praying for time, che è un capolavoro e che dice delle tristi verità:
Poco dopo George iniziò a lavorare al suo terzo disco ma una lunga disputa con la casa discografica lo portò a pubblicare solo un paio di canzoni inserite in una compilation (Red, Hot + Dance) che raccoglieva fondi per la lotta all’HIV/AIDS, tra cui Too funky (1992), altro capolavoro, su note diverse:
Per anni non poté pubblicare niente, finché, libero dal contratto con la Sony, all’inizio del 1996 arrivò Jesus to a child, il primo singolo da Older, canzone che, scoprimmo dopo, era dedicata al suo compagno, morto tre anni prima. Una cosa emotivamente devastante:
Da Older vennero estratti una miriade di singoli – l’ultimo, You have been loved, finì, insieme alla nuova versione di Candle in the wind di Elton John, col fare da colonna sonora al compianto per Lady D, e nel 1998 le cose cambiarono bruscamente, causa un forzato coming out cui GM reagì in maniera fantastica:
Outside confluì in una prima antologia (Ladies & Gentlemen, dove anche il titolo riprende il famoso incidente del bagno pubblico), seguita da un non particolarmente significativo disco di cover (Songs from the last century, 1999) che comprende però una versione di Miss Sarajevo che, data la mia passione per i Balcani di fine millennio, non mi lasciò indifferente:
Sempre in difficoltà con le case discografiche, pubblicò un paio di singoli non molto fortunati, fra cui Shoot the dog, che attaccava pesantemente George Bush e Tony Blair ai tempi del post 9/11 e che, cosa ancora più significativa, a 3 minuti e 45 secondi diventa Love action degli Human League:
Il suo ultimo album resta Patience (2004), seguito da un’antologia più completa (con anche cose degli Wham!) ed un po’ di rarità (Twenty Five, 2006) – da allora uscirono solo tre altri singoli (l’ultimo, White light, del 2012) ed un disco dal vivo, Symphonica. Per finire, in uno di quei momenti che poi si sarebbero detti profetici, al concerto del 1992 in ricordo di Freddie Mercury, cantò, insieme a Lisa Stansfield, These are the days of our lives, l’ultima grande canzone dei Queen:
Sometimes I get to feelin’
I was back in the old days – long ago
When we were kids, when we were young
Things seemed so perfect – you know?
The days were endless, we were crazy – we were young
The sun was always shinin’ – we just lived for fun
Sometimes it seems like lately – I just don’t know
The rest of my life’s been – just a show.
Molto, molto di più di ‘just a show‘.
Ah George!!! Il tuo bel faccione quando cantavi con i Wham è una delle cose più belle della mia adolescenza … mannaggia a te!
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