e quello che abbiamo sarebbe la versione light
La pila degli inquietanti libri che raccontano il dietro le quinte della Casa Bianca di Donald Trump sta diventando sempre più alta, malgrado alcuni possano essere tacciati di livori personali (Omarosa) o contenere qualche reale imprecisione/errore, come il Fire and fury di Michael Wolff, letto a suo tempo.
La differenza che fa invece Fear di Bob Woodward è essenzialmente quella di essere scritto da Bob Woodward, cioè da uno dei giornalisti che hanno definito il giornalismo vero del 20° secolo, la cui affidabilità risulta priva di partigianerie di sorta (i suoi libri su Obama piacquero poco alla Casa Bianca di allora, per dire).
Quando dunque Woodward ricostruisce conversazioni surreali (“that’s what I am,” Trump said, “a popularist”. “No, no,” Bannon said. “It’s populist”) come se fosse stato nella stanza non è difficile credergli, proprio in virtù del suo rigore di reporter e di intervistatore, oltre al fatto che, a fronte delle ore ed ore di registrazioni audio che pare aver raccolto, la Casa Bianca si è guardata bene dallo smentire singoli fatti descritti in Fear.
Che poi Woodward sappia anche scrivere bene, è evidente dalla sconsolante conclusione del libro:
Trump had one overriding problem that Dowd knew but could not bring himself to say to the president: “You’re a fucking liar”.
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