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Il ‘bello’ dell’attuale amministrazione statunitense è che, per quanto la ricostruzione che ne offre Michael Wolff nel recentissimo Fire and fury sia spaventosa ed inquietante, ogni giorno ce n’è una nuova (in queste ore abbiamo storie di pornostar e offese a mezzo mondo) cui stare appresso e di cui provare, come dire, disagio.
Il libro di Wolff (non esente da critiche oggettive) è incentrato sul ruolo giocato da Steve Bannon nell’elezione di Trump (“in the end Bannon and Breitbart elected him“), in un processo storico iniziato intorno al 2010 (se ne parlava qui), quando in seguito all’elezione di Barack Obama, iniziò a diffondersi un sentimento populista (con crescenti toni razzisti) confluito in quella che oggi chiamiamo alt-right e che ha portato al successo di attività editoriali come appunto il sito Breitbart ed il suo – fino a poco tempo fa – direttore (sulla dinamica Bannon/Trump avevamo già letto questo).
Stando a Wolff, il ruolo di Bannon è stato tutt’altro che marginale (la brillante idea di spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme sarebbe stata sua) ed avrebbe portato a due ‘correnti’ (la sua e quella di Jarvanka, cioè la coppia Ivanka-Jared – altre fonti la chiamano Jivanka, creando da subito un nuovo caso di studio per i filologi del futuro) in perenne rotta per l’attenzione di un presidente incapace di elaborare un pensiero coerente su alcunché (“his advisers didn’t know whether he was an isolationist or a militarist, or whether he could distinguish between the two“).
Come dico da un anno, c’è da avere molta, molta paura.
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