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maturità 2024 – 3

22 giugno 2024

Con qualche ritardo (correzioni estenuanti), ho potuto vedere la prova proposta al Liceo Classico Europeo (nessuna sorpresa: due testi di argomento più o meno storico ed affine, uno greco ed uno latino, di cui se ne doveva tradurre uno a scelta, commentarne alcuni punti e svilupparne il tema). La scelta è caduta su un episodio abbastanza noto della biografia di Alessandro Magno raccontato da Plutarco in riferimento alla visita a Troia del macedone che corse nudo intorno alla tomba di Achille (come fece poi qualcun altro) e che Cicerone (pare che al ministero credessero fosse Tacito, #sapevatelo) sviluppa invece in riferimento alla funzione eternatrice della poesia.

Il brano di Plurtarco comincia così: Ἀναβὰς δὲ εἰς Ἴλιον ἔθυσε τῇ Ἀθηνᾷ καὶ τοῖς ἥρωσιν ἔσπεισε, con un piacevole trionfo di aoristi: Essendo arrivato ad Ilio, (Alessandro) fece un sacrificio ad Atena e versò libagioni agli eroi, per poi celebrare la cosa a modo suo: Τὴν δὲ Ἀχιλλέως στήλην ἀλειψάμενος λίπα καὶ μετὰ τῶν ἑταίρων συναναδραμὼν γυμνὸς, ὥσπερ ἔθος ἐστίν, ἐστεφάνωσε, μακαρίσας αὐτόν ὅτι καὶ ζῶν φίλου πιστοῦ καὶ δὲ τελευτήσας μεγάλου κήρυκος ἔτυχεν. Qua forse ci sarà stata qualche difficoltà nella traduzione, dato che l’ordine delle parole non aiuta molto: credo che l’iniziale “tomba di Achille” sia oggetto di “incoronò” (ἐστεφάνωσε), mentre l’azione di ungersi abbondantemente (ἀλειψάμενος λίπα) si sarà riferita ad Alessandro che unge il proprio corpo (il verbo è medio) e non che unge la tomba: Dopo essere unto abbondantemente ed aver corso nudo – come è costume – con i suoi compagni intorno alla tomba di Achille, la ornò con una corona, considerandolo beato (μακαρίσας αὐτόν) poiché aveva ottenuto in sorte (ἔτυχεν) da vivo (ζῶν) un caro amico (sarebbe PatrocloPlutarco fa un po’ il vago, diciamo) e da morto (τελευτήσας) un grande cantore (sarebbe Omero).

Introdotto il tema della poesia, c’è un riferimento ad un altro Alessandro non proprio intuibile: Ἐν δὲ τῷ περιϊέναι καὶ θεᾶσθαι τὰ κατὰ τὴν πόλιν ἐρομένου τινὸς αὐτόν εἰ βούλεται τὴν Ἀλεξάνδρου λύραν ἰδεῖν, ἐλάχιστα φροντίζειν ἐκείνης ἔφη, τὴν δὲ Ἀχιλλέως ζητεῖν, ᾗ τὰ κλέα καὶ τὰς πράξεις ὕμνει τῶν ἀγαθῶν ἀνδρῶν ἐκεῖνος. Plutarco dice che, mentre andava in giro ed ammirava i resti della città ( Ἐν δὲ τῷ περιϊέναι καὶ θεᾶσθαι τὰ κατὰ τὴν πόλιν – sono infiniti sostantivati), qualcuno gli chiese (ἐρομένου τινὸς αὐτόν è un genitivo assoluto) se volesse vedere la lira di Alessandro (che ovviamente non è lui ma Paride, con cui condivideva il nome) ma il nostro Alessandro rispose che di quella lira non gli importava nulla (ἐλάχιστα φροντίζειν ἐκείνης ἔφη) e che cercava invece quella di Achille, con la quale quello aveva celebrato le illustre imprese degli eroi (ᾗ τὰ κλέα καὶ τὰς πράξεις ὕμνει τῶν ἀγαθῶν ἀνδρῶν ἐκεῖνος – è un preciso riferimento ad un episodio dell’Iliade, che d’altro canto era per Alessandro il suo testo di riferimento).

L’episodio di suo finisce qua, ma, per la necessità di proporre un testo sufficientemente lungo, hanno pensato bene di aggiungervi quanto segue, che davvero c’entra poco (la visita di Alessandro a Troia si colloca all’inizio della sua campagna in Asia): Ἐν δὲ τούτῳ τῶν Δαρείου στρατηγῶν μεγάλην δύναμιν ἡθροικότων καὶ παρατεταγμένων ἐπὶ τῇ διαβάσει τοῦ Γρανικοῦ, μάχεσθαι μὲν ἴσως ἀναγκαῖον ἦν, ὥσπερ ἐν πύλαις τῆς Ἀσίας, περὶ τῆς εἰσόδου καὶ ἀρχῆς. Nel frattempo – dice Plutarcoavendo i generali di Dario radunato un grande esercito ed avendolo collocato (sì, sono participi perfetti) all’altezza del guado del (fiume) Granico, era verosimilmente necessario attaccare battaglia, come se si fosse alle porte dell’Asia, per l’ingresso ed il dominio (cioè per entrarvi e conquistarla).

Al brano greco è affiancato un estratto dalla Pro Archia di Cicerone, in cui si richiamano le lodi di Alessandro per Omero ma l’oratore la prende alla larga: Quare, si res eae, quas gessimus, orbis terrae regionibus definiuntur, cupere debemus, quo manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam famamque penetrare, quod cum ipsis populis, de quorum rebus scribitur, haec ampla sunt, tum iis certe, qui de vita gloriae causa dimicant, hoc maximum et periculorum incitamentum est et laborum. Avrei tradotto così: Perciò, se quelle imprese che (noi Romani) abbiamo compiuto sono definite dalle regioni del mondo (nel senso che l’impero di Roma coincide col mondo intero) dobbiamo augurarci che dove sono giunte le armi delle nostre mani lì vi arrivino la gloria e la fama, poiché tanto i popoli stessi – delle cui storie si scrive – hanno queste (gloria e fama) ben grandi quanto di certo quelli che rischiano la vita per la gloria, hanno questo (sempre la gloria e la fama) come massimo incitamento nell’affrontare pericoli e fatiche (temo siano dativi di possesso). Da qui il riferimento ad Alessandro che invidia ad Achille l’aver avuto un cantore della sua gloria quale Omero, sebbene anche lui avesse al suo seguito scrittori e poeti (Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur!) Quando infatti arrivò alla tomba di Achille (cum in Sigeo ad Achillis tumulum adstitisset), avrebbe esclamato ‘O fortunate adulescens, qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris!’, considerando beato Achille che aveva trovato in Omero il cantore della sua virtù – a ragione (et vere) nota Cicerone, perché, se non ci fosse stata l’Iliade (nisi Ilias illa exstitisset), la stessa tomba che conteneva il corpo di Achille ne avrebbe sepolto il nome (idem tumulus, qui corpus eius contexerat, nomen etiam obruisset).

Non va dimenticato che l’orazione ha comunque come tema la difesa del poeta Archia, accusato di aver usurpato la cittadinanza romana, per cui l’aneddoto di cui sopra serve a celebrare il ruolo dei poeti e a far vedere come questi si meritino ogni onore da parte dei contemporanei, per cui il nostro passa un po’ bruscamente alla sua attualità e a ricordare come il nostro ‘magno’ (Pompeo) abbia premiato con la cittadinanza romana il suo biografo: che dire dunque? Non è forse vero che (nonne) il nostro Magno (noster hic Magnus), che ha avuto sorte degna della sua virtù (qui cum virtute fortunam adaequavit), ha fatto dono della cittadinanza romana allo scrittore delle sue imprese, Teofane di Mitilene (Theophanem Mytilenaeum, scriptorem rerum suarum), durante un’assemblea militare (in contione militum) e che quei nostri forti uomini, per quanto rozzi soldati (sed rustici ac milites), toccati dalla dolcezza della gloria (dulcedine quadam gloriae commoti) e quasi partecipi della stessa lode (quasi participes eiusdem laudis) lo approvarono a gran voce (magno illud clamore approbaverunt)?

Niente di problematico nei quesiti proposti; come di consueto, testo greco più abbordabile (ma davvero stonava il periodo conclusivo), un po’ più complesso sintatticamente il testo latino e mi resta sempre l’impressione che la prova del LCE sia sempre più complessa di quella del Classico

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  1. Anonimo permalink
    23 giugno 2024 12:09 AM

    Ciao, in realtà la sorpresa c’è stata: quest’anno niente confronti su passi parallelim il questionario che ricalca di più quello del tradizionale (al di là della relativa facilità delle richieste, le domande dovrebbero riguardare il contenuto non la forma, eventualmente è lo studente che richiama o spiega) Cicerone, invece, è un bel problema, non viene tradotto, se non sporadicamente. L’argomento non è propriamente storico (come dice il “regolamento” dell’europeo, che i funzionari ministeriali non conoscono, mi sembra di capire) e affronta un tema che viene trattato in quarta. Al di là della fattibilità, il fatto che il format venga cambiato in modo arbitrario in sede d’esame non mi sembra una gran correttezza: cosa succederebbe se si facesse una cosa simile con la prova del classico?

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