imperialistic house of prayer
Sono tornato al buon Gogol’ per Le anime morte del 1842, considerato universalmente il suo capolavoro.
Il romanzo – ma lui lo considera un poema epico in prosa – vede le (dis)avventure di un tizio dal nome impronunciabile (ma coi Russi ci ho fatto il callo, per cui vai con Pavel Ivanovich Chichikov), che gira la Russia cercando di mettere in piedi un gigantesco imbroglio che consiste nel comprare da piccoli e grandi proprietari terrieri dei servi della gleba già morti ma ancora censiti (le “anime” del titolo), in modo da accumulare virtualmente una sterminata familia.
Il tutto è, naturalmente, satirica e dissacrante pittura della Russia ottocentesca e delle sue gigantesche diseguaglianze, cosa che portò la censura dell’epoca ad intervenire pesantemente sul romanzo/poema e, non se per mancanza di ispirazione o per senso di frustrazione, l’autore lo lasciò sospesamente incompiuto.
Non credo c’entri la canzone omonima dei Joy Division, che comunque piace ricordare:
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