abbiamo vinto il Festival di Sanremo
Curato da Marino Bartoletti e Lucio Mazzi, l’Almanacco del Festival di Sanremo (che arriva fino al 2019 nell’edizione che ho io e che mi pare non più disponibile, immagino perché superata da Diodato ed i Maneskin) prova ad essere un po’ di più della semplice raccolta di informazioni da wikipedia offrendo, per ogni annata del Festival, diverse informazioni, di cui sono particolarmente interessanti quelle che riferiscono dell’esito dei brani sanremesi nelle classifiche di vendita annuali, da cui risulta che il Festival non è praticamente mai stato specchio reale del mercato discografico italiano né ha avuto quell’impatto culturale di ‘narrazione del paese reale’ che nell’ultimo trentennio in particolare ha cercato disperatamente di acquisire.
Senza andare troppo indietro nel tempo, tranne poche eccezioni (Elisa nel 2001, Gabbani nel 2017 Mahmood nel 2019, gli stessi Maneskin quest’anno), l’elenco dei vincitori desta imbarazzo – Aleandro Baldi, Annalisa Minetti, Povia, Giò Di Tonno, Marco Carta, Valerio Scanu, gli Stadio (nel 2016, non vent’anni prima) – anche solo limitandosi all’ampio criterio della rappresentatività della scena musicale italiana e senza che Sanremo abbia mai avuto la serena spensieratezza dell’Eurovision Song Contest, di cui era a suo tempo stato ispiratore.
Spiace infine che in un libro che vorrebbe essere di riferimento, ci siano un po’ troppi refusi, indecisioni (Dusty Springfield in una pagina è americana, inglese in quella dopo) e ripetizioni, ma soprattutto che non ci siano pagine e pagine dedicate agli Statuto:
Per noi di Torino che ai tempi seguivamo gli Statuto fu una vittoria il solo fatto di vederli all TV nazionale!!
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