caini
Il principio costituzionale vorrebbe che l’esperienza carceraria non assolvesse solo ad una mera funzione punitiva (“ti tolgo del tempo” dalla tua vita) ma mirasse alla rieducazione, al recupero ed al reinserimento delle persone condannate (ragion per cui una condanna all’ergastolo – per quanto comprensibile – mi pare intrinsecamente discutibile), cosa certamente difficile, in particolare quando si ha a che fare con reati particolarmente odiosi, come quelli sessuali, ancora di più se nei confronti di minori.
Un altro me (2016) è un documentario, girato nel carcere di Bollate, che segue un’equipe di terapeuti al lavoro con degli uomini (alcuni giovani, altri meno) condannati per reati di tal tipo (di cui si rispetta l’anonimato) e che iniziano una terapia di gruppo per superare le pulsioni che li hanno portati alla violenza, allo scopo appunto di evitare che reiterino quanto li ha condotti in carcere, immaginando di poterli seguire anche ‘fuori’, con tutte le difficoltà del caso.
Privo di espliciti riferimenti all’impianto terapeutico, resta una testimonianza emotivamente forte, in particolare nella scena in cui si unisce al gruppo una vittima di reati sessuali che condivide la sua esperienza, nel tentativo di creare quel legame empatico che permette di vedere le vittime stesse come persone e non come “cos” (come sarà stato per i condannati) o come dati statistici (che è quello che, nel flusso mediatico, succede a noi).
oltre all’intento punitivo e a quello rieducativo, il carcere serve a proteggere la società, immagino
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