still slang
Chiunque si occupi un po’ di lingue sa bene quanto sia difficile individuare il confine tra il ‘letterario’ ed il ‘colloquiale’, anche perché la dimensione diacronica risulta particolarmente significativa (Moravia, per dire, scriveva la ‘film’ che oggi suona ridicolo, io scrivo regolarmente colla/collo al posto di con la / con lo e paio ugualmente ridicolo – ma ho ragione – , il congiuntivo sta morendo etc. ).
Il che, teoricamente, non dovrebbe presentarsi in una lingua il cui canone è definito una volta per tutte, tipo il latino classico.
Ma anche no, come aiuta a capire Colloquial and literary latin (Cambridge, 2010), raccolta di saggi sul tema curata da Eleanor Dickey ed Anna Chahoud; per dare un’idea della complessità della questione, basti un celebre esametro virgiliano (Buc. I 18) in cui Melibeo chiede a Titiro ragguagli sul suo benefattore (spoiler: è Ottaviano):
sed tamen iste deus qui sit, da, Tityre, nobis
Virgilio avrebbe potuto usare dic (“dicci un po’ “) e invece sceglie da, che pare inusuale (“dacci un po’ “). Nel suo intervento Chahoud nota che il commento di Coleman spiegava la scelta come “colloquial… in keeping with the one of the whole line“, quello di Clauden ne apprezzava invece “an appropriate note of gravity“, a dimostrare che anche gli studiosi sono storicamente alquanto indecisi sul colloquiale/letterario.
I vari articoli raccolti nel volume sono divisi in cinque parti; dopo un’impostazione teorica, ci si muove in ordine cronologico (per l’early latin si parla di scelte pronominali in Plauto, di espressioni di saluto, di tragedia arcaica e del fatto che nei frammenti delle Origines di Catone non paiono esservi particolari esempi di colloquialismi – punto sul quale sinceramente non mi ero mai interrogato prima), dedicando maggior spazio al latino ‘classico’ di Cicerone (in cui l’uso dell’iperbato non pare legato al registro delle singole opere, #sapevatelo) e di un suo corrispondente (Celio Rufo), di Lucrezio, di Cesare (autore di un De analogia di cui restano solo frammenti) e dell’anonimo autore del Bellum Hispaniense (una sorta di sequel del De bello civili cesariano), tradizionalmente attribuito ad un semi-analfabeta che sa poco di latino ma qui difeso come autore di una certa cultura le cui ‘stranezze’ stilistiche sono spiegabili come vezzi poetici o richiami arcaisti.
Meno spazio di quanto pensassi ha Petronio (c’è solo un articolo sull’uso del presente al posto del futuro) e forse troppo Stazio (l’articolo sulle sue espressioni parentetiche non mi ha, mea culpa, stimolato ad approfondirne la conoscenza), mentre sempre affascinanti sono gli articoli sulla latinità tarda: in particolare quello su un curioso scambio epistolare fra due vescovi di età merovingia che si insultano e si accusano reciprocamente di malefatte con le suore (!), un colloquium scolastico composto in Britannia forse nel V secolo (il De aliquibus raris fabulis) e l’immancabile Beda il Venerabile che resta il mio preferito (per il nome, più che altro).