I momenti più noti dell’imperialismo romano sono tali grazie alle fonti letterarie che li raccontano (come il De bello gallico di Cesare o le pagine di Tacito sulla Britannia), nella cui assenza si può ricostruire assai poco ed alcune tappe importanti della storia imperiale si riducono a vaghi ricordi scolastici, come la conquista della Dacia da parte di Traiano ad inizio del II secolo dC, che per me si è sempre riassunta in due-tre concetti, tipo ‘massima espansione dell’Impero‘, ‘colonna Traiana‘ e ‘Romania‘.
Per rimediare alla mia ignoranza, Livio Zerbini ha scritto Le guerre daciche (il Mulino, 2015), da cui scopro ad esempio che un primo scontro ci fu già al tempo di Domiziano (nell’85 dC) e che lo stesso Traiano aveva scritto dei Commentarii sulle sue due campagne (di cui resta solo un frammento conservato dal grammatico Prisciano, più interessato ad un uso particolare del genitivo come nome di città che ad altro – inde Berzobim, deinde Aizi processimus è tutto quello che ci resta dell’opera).
Zerbini si muove decisamente a suo agio nella materia (le provincie danubiane sono il suo principale ambito di ricerca) ma dà un po’ troppe cose per scontate per i profani (insiste molto ad esempio sul valore religioso della capitale dacica – Sarmizegetusa – ma nulla ci dice sulla religione dei Daci) e – sarà più colpa dell’editore – è piuttosto difficile seguire le sue riflessioni (cap. 8) sulle armature delle legioni romane e dei Daci raffigurate nella colonna Traiana e nel Tropaeum Traiani senza un apparato iconografico di supporto, considerato appunto che è su testimonianze archeologiche più che letterarie che si basa la nostra conoscenza della romanizzazione dell’area.
I successori di Traiano contribuirono largamente all’equilibrio della regione e fecero della Dacia (poi divisa in più provincie) un’area ricca e sviluppata, che finì poi con l’essere trascurata durante l’anarchia militare del III secolo finché, intorno al 271, l’imperatore Aureliano l’abbandonò a se stessa, senza immaginare che nei secoli successivi l’identità rumena si sarebbe in parte costruita proprio sulla conquista traianea ed i vecchi Daci avrebbero parlato una lingua neolatina…
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deserti che chiamano paci
Per rimediare alla mia ignoranza, Livio Zerbini ha scritto Le guerre daciche (il Mulino, 2015), da cui scopro ad esempio che un primo scontro ci fu già al tempo di Domiziano (nell’85 dC) e che lo stesso Traiano aveva scritto dei Commentarii sulle sue due campagne (di cui resta solo un frammento conservato dal grammatico Prisciano, più interessato ad un uso particolare del genitivo come nome di città che ad altro – inde Berzobim, deinde Aizi processimus è tutto quello che ci resta dell’opera).
Zerbini si muove decisamente a suo agio nella materia (le provincie danubiane sono il suo principale ambito di ricerca) ma dà un po’ troppe cose per scontate per i profani (insiste molto ad esempio sul valore religioso della capitale dacica – Sarmizegetusa – ma nulla ci dice sulla religione dei Daci) e – sarà più colpa dell’editore – è piuttosto difficile seguire le sue riflessioni (cap. 8) sulle armature delle legioni romane e dei Daci raffigurate nella colonna Traiana e nel Tropaeum Traiani senza un apparato iconografico di supporto, considerato appunto che è su testimonianze archeologiche più che letterarie che si basa la nostra conoscenza della romanizzazione dell’area.
I successori di Traiano contribuirono largamente all’equilibrio della regione e fecero della Dacia (poi divisa in più provincie) un’area ricca e sviluppata, che finì poi con l’essere trascurata durante l’anarchia militare del III secolo finché, intorno al 271, l’imperatore Aureliano l’abbandonò a se stessa, senza immaginare che nei secoli successivi l’identità rumena si sarebbe in parte costruita proprio sulla conquista traianea ed i vecchi Daci avrebbero parlato una lingua neolatina…
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