complici
Un po’ come fece il portavoce della Casa Bianca di Bush a suo tempo, anche l’amministrazione Trump ha i suoi ‘pentiti’ (fino ad un certo punto, in realtà), tipo Cliff Sims (“director of White House message strategy“, dice), autore di un livoroso Team of vipers, dopo un anno e mezzo di lavoro alla Casa Bianca.
Non il primo libro a ritrarre la disfunzionalità dell’amministrazione Trump, Sims passa il tempo a sottolineare la sua “personal relationship with the President” ed a mostrarsi rancoroso nei confronti dei suoi nemici (Kellyanne Conway ed il chief of staff John Kelly, che, à la Darth Vader, sarebbe “fully consumed by the darkness“) che alla fine l’avrebbero avuta vinta su di lui che – non si capisce bene perché – ‘dava fastidio’, con una curiosa storia di video ripresi di nascosto (lui dice di essersi dimesso prima di essere licenziato perché sarebbe andato a lavorare con Mike Pompeo, ma in seguito alla storia del video non se ne sarebbe fatto più niente, eh).
Originariamente sostenitore di Ted Cruz (!), Sims tende a presentarsi come una sorta di ombra di Trump (e come suo leccapiedi di riferimento, in alcuni passaggi davvero sgradevole: “They wanted to see if you’ like to pit your branding genius to use”, I told him. His eyes lit up and a subtle smile appeared on his face “They say I might be the world’s greatest brander. I don’t say that necessarily, but some people have said that”), sempre presente nei momenti importanti e familiare a tutte le altre figure che ruotano intorno al Presidente (anche se non capisco come possa arrivare a definire Stephen Miller “the funniest guy in the room“), quando nei fatti non ha deciso niente, non ha contribuito a nulla ed è stato un complice di basso livello, lì essenzialmente – come tanti altri – per fare carriera. Comunque complice, però.