soffitti infrangibili
Chasing Hillary di Amy Chozick racconta l’ultima campagna elettorale statunitense dal punto di vista di una giornalista del New York Times che è stata appresso ad Hillary Clinton per gli ultimi dieci anni e che, con stile vivace, ricostruisce gli errori e le macroscopiche sviste che hanno portato alla vittoria di Donald Trump, riconoscendosi anche alcuni errori come l’attenzione eccessiva che la stampa – non solo quella destrorsa – ha dedicato ad alcune scelte poche felici della candidata democratica (“but her e-mails!” è il corrispondente americano del nostro “e allora il PD?”), a scapito di ben più gravi affermazioni del candidato repubblicano (siamo a 4229 and counting).
Quello che colpisce nel libro è il cinismo che si cela dietro una campagna elettorale, costruita come un film ad uso e servizio dell’elettorato (“the campaign’s casting department had outdone itself. There was even a transgender daughter of undocumented immigrants“) tema che di questi tempi suona molto attuale – ogni volta che il Salvini di turno fa un post mostruoso su Facebook è sincero nel suo essere persona orrenda? O, peggio ancora, sta cinicamente dicendo cose che non pensa perché crede che il suo elettorato lo segua?
Ecco, forse l’empatia di Hillary (o di Bill o di Barack Obama) è costruita a tavolino con la stessa meticolosità di un bot russo, ma nulla mi distoglierà mai dall’idea che fare appello alla parte migliore di noi è meglio che fare appello alla parte peggiore delle persone…