your goodbye note to me was a post-it that said ‘carbs are for losers’
Pare impossibile liberarsi degli anni ’80 (c’è Trump presidente degli USA, per dire – e ricordiamo tutti che era il mito di Patrick Bateman in American psycho, il romanzo definitivo sul decennio) e di quanto hanno prodotto, anche televisivamente parlando.
Ad un certo punto avevo deciso di affrontare tutto Dallas (e l’esperienza è stata fantastica), compreso il non fortunatissimo sequel (per cui non sapremo mai se Chris è morto nell’esplosione della macchina!), ma prima avevo visto Dynasty (che era finito così) che – opinione impopolare, I know – secondo era meglio perché toccava vette di trash inenarrabili.
Con somma gioia ho appena finito di vedere la prima stagione del reboot di Dynasty – il reboot non è il seguito, è in pratica una nuova serie fatta a partire dal soggetto della precedente, tipo Battlestar Galactica – che è uno spasso continuo.
Fallon continua ad essere il mio personaggio di riferimento, la storia è ora ambientata ad Atlanta (un po’ più multietnica di Denver, per cui sia Jeff Colby sia l’autista / amante di Fallon sono afroamericani, la nuova signora Carrington è venezuelana), Steven non è più interiormente omofobico, Sammy Jo è un maschietto (!), Claudia è sempre fuori come un balcone e pare di essere tornati a casa ma vestiti meglio (tranne che per le camice di Steven) e con pettinature più decorose. Le mie uniche perplessità sono solo sulla nuova Alexis, un po’ più white trash di Joan Collins, ma mostra comunque un certo potenziale e come sempre è un cliff-hanger dietro l’altro.
La serie in patria non ha avuto molto successo, ma la co-produzione di Netflix ne ha permesso una seconda stagione, in arrivo ad ottobre…
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