e dice di non aver votato
Non è che uno di solito legga il libro scritto da un direttore dell’FBI alla fine del suo mandato ma se si tratta del direttore che in un primo momento escluse ripercussioni legali su Hillary Clinton riguardo alla storia delle e-mail, che comunicò pubblicamente di aver riaperto l’indagine pochi giorni prima delle elezioni, che poi disse che comunque non si era appurato nulla e finì poi coll’essere brutalmente licenziato da Donal Trump, si capisce perché A higher loyalty di James Comey sia comunque lettura doverosa.
Per quanto i capitoli su cui si è soffermata l’attenzione dei più siano gli ultimi, il libro vuole essere un’autobiografia della sua carriera, da cui viene fuori che ha praticamente sconfitto la Mafia negli Stati Uniti (there are still people in New York who call themselves Italian Mafia, bit it is a motley collection of low-level criminals that would embarass Lucy Luciano), ha avuto la sua dose di tragedie familiari (la morte di un figlio appena nato, la parte più toccante del libro), è stato coinvolto in processi rinomati (Martha Stewart), ha lavorato sotto l’amministrazione Bush ed è stato poi nominato direttore dell’FBI da Obama, per quanto di chiara vicinanza ai Repubblicani.
Il libro è a tratti un po’ stucchevole ed autocelebrativo, e finisce spesso con essere un’apologia delle sue scelte (che restano discutibili, per quanto non motivate politicamente), mentre la parte sulla sua relazione con Trump riesce oggettivamente a presentare l’imbarazzo di una persona normale di fronte al delirio di un’amministrazione e di un Presidente che considera la lealtà personale – e non quella alla Legge – il requisito essenziale di un subordinato, esattamente come la cosa nostra che Comey richiama più volte nel riferire delle sue interazioni con Trump…