always with a sense of shame
Actually (1987) fu il secondo album dei Pet Shop Boys – personalmente li avevo già notati (e non poteva essere altrimenti) per Paninaro – ma, come per tutta la mia generazione il momento di epifania assoluta fu It’s a sin, qui al Festivalbar (vinto da Spagna con una cosa insulsa come Dance dance dance e non con Call me, perché i meccanismi delle vittorie al Festivalbar erano il più grande mistero della nostra infanzia):
(ok, era senz’audio – qua sotto il video originale)
Come secondo singolo (What have I done to deserve this?) portarono fuori dal letargo e diedero nuova carriera alla sempre meravigliosa Dusty Springfield:
Come terzo singolo, estrassero una canzone che parla di prostituzione e come regista del video richiamarono Derek Jarman (che con loro aveva già fatto il video di It’s a sin e col quale lavorarono al loro primo tour due anni dopo). Rent resta una pagina splendida:
Con la cover di Always on my mind (seguita da un intero film da loro ‘interpretato’, It couldn’t happen here) arrivarono al #1 in Inghilterra nel Natale del 1987 e l’anno dopo ebbero il loro quarto #1, con una canzone originariamente pensata per Madonna, Heart.
E la sequenza di questi cinque singoli è solo la punta dell’iceberg della loro fase imperiale, perché l’album (ora ri-ri-pubblicato) non impallidisce a fianco di supposti ‘greatest hits’ di altri artisti: One more chance ed Hit music sono due singoli mancati, Shopping è l’acido commento alle liberalizzazioni degli anni ’80, It couldn’t happen here ha Ennio Morricone come co-autore, I want to wake up finì coll’essere remixata da Johnny Marr e King’s Cross merita solo rispetto:
Il secondo cd raccoglie i lati b dei singoli (You know where you went wrong, A new life, I want a dog, Do I have to) ed i remix d’epoca da loro curati, in attesa di riscrivere la storia della musica dance col disco successivo…