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the other side of this hill

6 ottobre 2017

81tpdD6QHEL._SL1500_Due-tre anni fa i Backstreet Boys si imbarcarono in un tour mondiale che voleva celebrare il loro ventennale e promuovere il loro ottavo disco, In a world like this.

Durante la non serenissima registrazione di quest’album (il primo pubblicato da indipendenti e quindi finanziato pecunia sua), registrarono anche un documentario che ne seguiva le fasi e ripercorreva nel contempo la loro storia, Show’em what you’re made of, che è un must per chiunque sia finito in una boyband.

Nati originariamente da un casting messo in piede da Lou Pearlman (con il quale finirono in tribunale per questioni di diritti non versati e che è morto qualche anno fa in carcere per un ponzi scheme non legato ai BSB), ebbero da prima un grandissimo successo in Europa, grazie a cose come la sempre meravigliosa We’ve got it goin’ on, da cui si capiva che Max Martin ne avrebbe fatta di strada:

La loro fase imperiale (1999-2002) culminò con I want it that way ma da lì in poi fu per loro sempre più difficile mantenersi in vetta alle classifiche, in parte per la contemporanea ascesa degli *Nsync (sempre messi insieme da Pearlman, che in pratica lavorava per la concorrenza), in parte per difficoltà interne (il temporaneo abbandono di Kevin, una causa colla casa discografica accusata di aver favorito l’esperienza solista di Nick e l’idea che dei trentenni faccessero poco boy-band).

Il documentario li ritrova dunque nel momento critico di un tentativo di rilancio (Kevin è tornato), collo sguardo al futuro ma anche al loro passato ed alle loro storie personali (con drammi di varia intensità), senza nascondere molto (si parla esplicitamente delle difficoltà coll’alcol di AJ, dei problemi vocali di Brian e di altre cose – c’è una scena piuttosto forte in cui Nick litiga ferocemente con tutti, a conferma del fatto che non è in un momento serenissimo, diciamo).

Fortunatamente c’è un lieto fine: finiscono l’album, non è un trionfo ma neanche una catastrofe, ed il tour è un oggettivo successo.

In a world like this è una bella canzone:

(sempre Max Martin, eh)

 

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