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Non proprio recente (l’edizione italiana è di quarant’anni fa, e la prima stampa inglese è del 1950), I greci e i loro dèi (il Mulino, 1987) di William KC Guthrie è comunque lettura doverosa, non solo per eventuali appassionati di una libresca ‘storia della storia delle religioni’.
Il libro trasuda dottrina da ogni pagina ma sa nel contempo essere chiarissimo e di scorrevole lettura (vero, Sabbatucci?); particolarmente affascinante è il capitolo 2, in cui riflette sulle origini degli dèi olimpici (la grandezza dei Greci sta tutta nel fecondo incontro fra il dio della luce e del cielo indoeuropeo ed una divinità maschile della fertilità, nascosta bambino dai Cureti: Zeus), mentre i capitoli 6-7 sono dedicati ai culti di Dioniso ed Apollo.
Il fulcro del libro mi pare essere la riflessione su due diversi tipi di divinità o, meglio, di approccio umano al divino, coesistenti nella cultura greca: da una parte gli dèi ‘celesti’, quelli raffigurati in Omero, che, pur intervenendo nelle vicende umane, tengono per separati i due piani (i mortali devono pensare cose mortali, andare oltre l’umano è atto di hybris etc.), dall’altra quelli ‘ctoni’ che offrono invece all’uomo un percorso di riscatto e di trasformazione, una promessa di immortalità e di assunzione al divino (Dioniso, Asclepio, Eracle), con naturalmente tutte le sovrapposizioni e contaminazioni del caso, anche di carattere politico-sociologico (i culti omerici sono prodotto di una società aristocratica, i culti ctoni, per quanto già presenti in epoche antichissime, godono di particolare fortuna in età ellenistica, dopo il tracollo delle poleis).
Non mancano importanti pagine sull’orfismo e, terreno sul quale Guthrie ne sa moltissimo, Platone ed Aristotele, dei quali il più razionalista si rivela ironicamente anche il più religioso:
“La più alta natura dell’uomo è identica alla natura di Dio”