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l’esercito del socialismo che tutto promette

19 settembre 2017

9788815056269_0_0_300_75A leggere La scuola elementare di Ester De Fort (il Mulino, 1996), voluminoso e a tratti ostico saggio dedicato all’istruzione primaria nella storia italiana (dall’Unità alla Liberazione), si ha l’impressione che gran parte del contendere fosse tra il neonato stato unitario (ed il suo immediato precedente, cioè il Piemonte sabaudo) e la Chiesa Cattolica, decisamente contraria a lasciare allo Stato il controllo dell’educazione (pare che il Sant’Uffizio avesse condannato l’asilo, per dire) e a perdere l’influenza che aveva in altre parti della Penisola (il regno borbonico di Ferdinando II affidava l’insegnamento primario direttamente agli ecclesiastici, nel Lombardo Veneto gli ispettori scolastici erano nominati su proposta del vescovo etc. ).

Il percorso inizia colla legge Casati (1859) che stabilisce gratuità ed obbligatorietà di due anni di scuola elementare, affidata però ai singoli comuni, cosa che portò, intuitivamente, ad una fortissima spaccatura fra parti del paese, in quanto anche gli oneri economici di tali scuole ricadevano quasi interamente sui comuni e la legge, in modo particolare per quanto riguardava l’obbligatorietà, restò in gran parte disattesa, come dimostra la sua insistenza sul tema da parte della legge Coppino del 1877, che tra l’altro sopprimeva l’insegnamento religioso (sostituendolo con “le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”, art. 2, ma sarebbe durata poco) e portava l’obbligo a tre anni.

Coll’arrivo del nuovo secolo, la preoccupazione per le cattive condizioni economiche dei maestri (a rischio, come scriveva il Corriere della sera, di finire nell’ “esercito nelle cui file si arruolano tutti i malcontenti: l’esercito del socialismo che tutto promette“) portò il governo Zanardelli emanare leggi che riorganizzavano il monte pensioni, identificavano lo status giuridico dei maestri ed eguagliavano lo stipendio delle maestre donne a quello degli uomini; l’età giolittiana portò alla legge Daneo-Credaro (1911) che in gran parte avocò dai comuni allo Stato la scuola elementare e che introdusse, scopro, il registro di classe (!) nella scuola superiore ed il concetto di ‘diario’.

Coll’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale le priorità sono altre, anche se la scuola è ovviamente coinvolta nei meccanismi di propaganda patriottica dell’epoca, mentre il primo dopoguerra, col successo del partito popolare di Sturzo, vede tornare al centro del dibattito la questione della libertà d’insegnamento, poi travolto dall’ascesa del fascismo e dal ministero di Giovanni Gentile (tra le cose divertenti che fece per le superiori giova ricordare la creazione del liceo scientifico, dello sfortunato liceo femminile e l’introduzione del latino negli istituti tecnici).

Per quanto riguarda l’istruzione elementare, più che Gentile stesso se ne occupò Lombardo Radice, la cui adesione al fascismo restò problematica, come dimostra l’attenzione che mostrava per il dialetto, da lui considerato come esperienza imprescindibile per l’apprendimento dell’italiano, attenzione presto rimossa, in contemporanea all’imposizione dell’italiano nelle scuole delle terre ‘redente’.

A partire dal periodo delle leggi ‘fascistissime’, la scuola (afferente dal 1929 al nuovo Ministero dell’Educazione Nazionale) si trovò affiancata all’Opera Nazionale Balilla (fondata nel ’26) e si ridusse spesso ad essere semplice cassa di risonanza del regime (i maestri erano caldamente invitati a proporre ai bambini l’adesione ai Balilla, che nel 1936 arrivò a raggiungere l’87% degli iscritti alle scuole elementari pubbliche). E tutto questo senza dimenticare, dall’anno scolastico 1930-31, l’adozione del ‘libro unico di Stato’ per tutte le scuole pubbliche.

Un libro a parte meriterebbe di certo la storia dei rapporti tra Fascismo e Chiesa Cattolica, laddove il primo andava a proporre un modello totalitario che portò Pio XI ad emanare un’enciclica (Divini illius magistri, 1929) in cui, pur avendo due anni prima accettato l’abolizione dello scoutismo cattolico, il papa criticava il militarismo ed il nazionalismo esasperato e sottolineava l’illegittimità del monopolio educativo statale – i Patti Lateranensi avevano però garantito alla Chiesa l’estensione dell’insegnamento religioso nella scuola secondaria, il mantenimento dell’Esame di Stato per le scuole private ed altre concessioni, per arrivare poi all’orrore delle leggi razziali e della loro applicazione al mondo della scuola, per finire colla farsa di Salò.

E mi pare opportuno chiudere colle parole dello stesso Lombardo Radice: 

tutta la storia della legislazione scolastica italiana è storia di leggi mancate…

per difetto di assegnazione di fondi”

 

 

 

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