cantare senza musica
Già avevamo notato che Alberto Bertoni non è esattamente scrittore scorrevole, ma questo nulla toglie al valore del suo La poesia – Come si legge e come si scrive che, contrariamente a quanto farebbe pensare il sottotitolo, non è un manualetto di self-help né un rimario, quanto una dichiarazione d’amore per la parola ed il suo potere evocativo.
Non scevro di tecnicismi (fa notare, ad esempio, che la terzina iniziale della Commedia di Dante sviluppa i tre possibili esiti di un endecasillabo: nel mezzo del cammin di nostra vita è un endecasillabo a maiore; mi ritrovai per una selva oscura è a minore; ché la diritta via era smarrita “offre una configurazione ritmica piuttosto originale, poiché i tempi forti vi si susseguono a partire già dalla prima sillaba, per continuare con la 4a, la 6a e forse anche la 7a”), è particolarmente attento anche alla dimensione diacronica della verificazione e delle sue particolarità (non avevo ad esempio mai riflettuto sulla particolare funzione dell’enjambement, che nella poesia prenovecentesca è segno di smarco prosaico e che – paradossalmente – diventerà poi segno inequivocabile di poeticità).
I suoi interessi non sono poi rivolti solo alla poesia italiana, ma guardano alla dimensione europea (il titolo del post viene da una citazione di Fernando Pessoa) ed è quindi un dolce piacere naufragare nelle riflessioni su L’Albatros di Baudelaire e sulle infinite possibilità di tradurlo, nonché immergersi nei Fiumi ungarettiani che, scopro, vengono da un sonetto (CXLVIII) in cui un Petrarca nomenclatorio fa vedere quanti fiumi conosce:
Non Tesin, Po, Varo, Arno, Adige et Tebro,
Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange,
Tana, Histro, Alpheo, Garona e ‘l mar che frange,
Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro
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