il destino è quel che è, non c’è scampo più per me
Cicerone non è solo protagonista di una trilogia ma anche autore di tre testi molto importanti quando si parla di cose tipo destino e libertà: il De natura deorum, il De divinatione ed il De fato, ora edito e riccamente commentato da Stefano Maso.
Composto nel giugno del 44 aC, un paio di mesi dopo l’uccisione di Cesare, si apre con un incontro a Pozzuoli fra Cicerone ed Aulo Irzio, già fedelissimo di Cesare ed ora consul designatus per l’anno dopo e destinato (?) a non onorevolissima fine in quel di Modena l’anno dopo.
Il dialogo – che è in realtà un monologo declamatorio in cui emergono altri interlocutori, quali Crisippo, Carneade, Epicuro etc. – è mutilo della parte iniziale e finale, presenta inoltre un paio di lacune di discussa estensione, nonché alcuni problemi testuali ed uno stile volutamente ellittico, cosa che non lo rende esattamente una passeggiata di salute.
Se la si affronta, si vede Cicerone impegnato a confutare le tesi stoiche sul ruolo del destino (con pace del buon Seneca) e a confutare con gusto le idee di Epicuro sul moto degli atomi (paradossalmente, è in Cicerone che troviamo la migliore descrizione della teoria della declinatio atomica, di cui non c’è traccia nelle opere di Epicuro a noi giunte) e soprattutto a smantellare tutto l’apparato divinatorio (“neanche Apollo potrebbe predire il futuro”) dell’antichità e le fallacie logiche di chi confunde il post hoc con il propter hoc, tema tragicamente attuale: i “giornalisti” dovrebbero titolare “fa il bagnetto e tre giorni dopo muore”, che sarebbe più dignitoso.
Se invece siete deterministi dentro, c’è sempre Gene Wilder:
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