maturità 2016 – 3
Miracolo miracolo, è già apparsa sul sito ministeriale la traccia della seconda prova del Liceo Classico Europeo – per chi ne sa meno, è un indirizzo particolare che in pratica accumula in unico curriculum classico, scientifico e linguistico (i ggiovani stanno a scuola per più di 40 ore settimanali, con tre pomeriggi compresi), in cui si fanno due lingue (ed alcune materie direttamente in lingua), parecchia matematica/fisica e latino/greco declinati però in un’unica disciplina, Lingue classiche (quest’anno si sono sbagliati e l’hanno chiamata lingua classica al singolare), la cui prova d’esame è molto più razionale di quella del liceo classico ma, paradossalmente, dato il numero minore di ore settimanali (5 contro le 7 del classico), un po’ più difficile.
I fanciulli hanno infatti davanti a loro due brani, uno in greco ed uno in latino, di contenuto storico, di cui devono tradurre uno dei due a scelta ma rispondere a domande di comprensione/confronto che richiamano entrambi i testi (la prova dura 6 ore, due di più della versione ‘normale’).
I due brani raccontano un episodio della guerra tra Sparta e Tebe, quando i Tebani di Epaminonda arrivano alle porte di Sparta ed il re Agesilao “si trovò ad affrontare e risolvere una pericolosissima situazione creatasi all’interno della città”. Il primo testo viene dal buon Cornelio Nepote (è il par. 6 della Vita di Agesilao):
Interim accidit illa calamitas apud Leuctra Lacedaemoniis. Quo ne proficisceretur, cum a plerisque ad exeundum premeretur, ut si de exitu divinaret, exire noluit. Idem, cum Epaminondas Spartam oppugnaret essetque sine muris oppidum, talem se imperatorem praebuit, ut eo tempore omnibus apparuerit, nisi ille fuisset, Spartam futuram non fuisse. In quo quidem discrimine celeritas eius consilii saluti fuit universis. Nam cum quidam adulescentuli, hostium adventu perterriti, ad Thebanos transfugere vellent et locum extra urbem editum cepissent, Agesilaus, qui perniciosissimum fore videret, si animadversum esset quemquam ad hostis transfugere conari, cum suis eo venit atque, ut si bono animo fecissent, laudavit consilium eorum, quod eum locum occupassent; id se quoque fieri debere animadvertisse. Sic adulescentis simulata laudatione recuperavit et adiunctis de suis comitibus locum tutum reliquit. Namque illi aucti numero eorum, qui expertes erant consilii, commovere se non sunt ausi eoque libentius, quod latere arbitrabantur quae cogitaverant.
Il brano è abbastanza noto e piuttosto semplice, con un po’ di infinitive ed ipotetiche che fanno sempre bene. C’è solo una frase un po’ problematica, con qualche problema testuale. La prima frase è facile (Nel frattempo ci fu a Leuttra la famosa sconfitta dei Lacedemoni), i problemi vengono subito con quel quo che non è finale ma locativo (lì) ed il fatto che il testo dato dal ministero e presente nel Corpus Paravianum (exire noluit) non è da tutti condiviso (la Teubner legge excusavit senectutem): il testo teubneriano a me pare più sensato: affinché non andasse lì – sebbene dai più fosse spronato a parteciparvi – come se ne avesse previsto l’esito, (Agesilao) usò la scusa dell’età avanzata. Il testo dato ai ggiovani suonerebbe un po’ tautologico (affinché non andasse lì – sebbene dai più fosse spronato a parteciparvi – come se ne avesse previsto l’esito, (Agesilao) non volle andarci) e non molto sensato, a meno di non cassare il quo ne profisceretur e scrivere che non volle andarci sebbene molti lo spronassero, come se ne avesse previsto l’esito; pare più logico che Agesilao sia prima criticato per non aver preso parte alla battaglia ma subito dopo se ne riconosca l’arguzia e l’intelligenza – non ho comunque sottomano un’edizione critica (quanto scrivo lo recupero dall’edizione BUR – che ha un testo ma ne traduce un altro – e da un paio di siti): de qua re videant doctiores.
Il resto scorre: Ma egli stesso, quando Epaminonda asssediava Sparta e la città era sguarnita di mura, si mostrò un così valido comandante che a quale tempo apparve chiaro a tutti che, se non ci fosse stato lui, Sparta non sarebbe più esistita. Dunque in tale situazione drammatica, la rapidità della sua scaltrezza fu di salvezza a tutti. Infatti, siccome alcuni giovinastri, spaventati dall’arrivo dei nemici, volevano passare dalla parte dei Tebani ed avevano già occupato una postazione elevata fuori dalla città, Agesilao, capendo bene che sarebbe stato pericolosissimo se si fosse saputo che qualcuno stava tentando di passare dalla parte dei nemici, lodò la loro azione, aver cioè occupato quel luogo; disse che lui stesso aveva capito che ciò dovesse esser fatto. In tal maniera, riportò dalla sua parte quei ragazzi, fingendo di lodarli, e, aggiunti alcuni compagni dei suoi, lasciò quel luogo ben difeso. Ed infatti quelli, diventati ancora di più per l’aggiunta di altri, estranei al loro piano originario, non osarono muoversi ed anzi ne furono ben contenti, siccome credevano che il loro progetto fosse rimasto nascosto.
Il testo greco viene da Plutarco (Vita di Agesilao 32 3-5) e riporta, con notevoli differenze, lo stesso episodio:
Ἐπεὶ δὲ φιλοτιμούμενος ὁ Ἐπαμεινώνδας ἐν τῇ πόλει μάχην συνάψαι καὶ στῆσαι τρόπαιον οὐκ ἴσχυσεν ἐξαγαγεῖν οὐδὲ προκαλέσασθαι τὸν Ἀγησίλαον, ἐκεῖνος μὲν ἀναζεύξας πάλιν ἐπόρθει τὴν χώραν· ἐν δὲ Λακεδαίμονι τῶν πάλαι τινὲς ὑπούλων καὶ πονηρῶν ὡς διακόσιοι συστραφέντες κατελάβον τὸ Ἰσσώριον, οὗ τὸ τῆς Ἀρτέμιδος ἱερόν ἐστιν, εὐερκῆ καὶ δυσεκβίαστον τόπον. Ἐφ ̓ οὓς βουλομένων εὐθὺς ὠθεῖσθαι τῶν Λακεδαιμονίων, φοβηθεὶς τὸν νεωτερισμὸν ὁ Ἀγησίλαος ἐκέλευσε τοὺς μὲν ἄλλους ἡσυχίαν ἄγειν, αὐτὸς δὲ ἐν ἱματίῳ καὶ μεθ ̓ ἑνὸς οἰκέτου προσῄει, βοῶν ἄλλως ἀκηκοέναι τοῦ προστάγματος αὐτούς· οὐ γὰρ ἐνταῦθα κελεῦσαι συνελθεῖν οὐδὲ πάντας, ἀλλὰ τοὺς μὲν ἐκεῖ (δείξας ἕτερον τόπον), τοὺς δὲ ἀλλαχόσε τῆς πόλεως. Οἱ δὲ ἀκούσαντες ἥσθησαν οἰόμενοι λανθάνειν, καὶ διαστάντες ἐπὶ τοὺς τόπους οὓς ἐκεῖνος ἐκέλευσεν ἀπεχώρουν. Ὁ δὲ τὸ μὲν Ἰσσώριον εὐθὺς μεταπεμψάμενος ἑτέρους κατέσχε, τῶν δὲ συστάντων ἐκείνων περὶ πεντεκαίδεκά τινας συλλαβὼν νυκτὸς ἀπέκτεινεν.
Anche qui non ci sono grossi problemi: Poiché Epaminonda, pur desiderando attaccare battaglia in città ed innalzare un trofeo, non fu in grado di far uscire né di provocare Agesilao, ritiratosi, devastava la regione; a Sparta, però, circa 200 fra quelli da tempo infidi e malvagi, messisi insieme, occuparono l’Issorio, dove si trova il tempietto di Artemide, un luogo ben fortificato e di difficile accesso. Mentre i Lacedemoni volevano muoversi subito contro di loro, Agesilao, temendo l’insurrezione, ordinò agli altri di restarsene tranquilli e lui stesso, con addosso un mantello e con un solo compagno, si recò da loro, gridando che avevano mal compreso il suo ordine: infatti (diceva) non aveva ordinato di radunarsi lì né tutti insieme, ma di mettersi ora da una parte (avendo indicato un altro luogo), ora dall’altra della città. Quelli, ad ascoltarlo, furono ben lieti, visto che credevano di non essere stati scoperti, e, sparsisi nei luoghi che lui aveva ordinato, si allontanarono. Agesilao subito, avendo mandato a chiamare altri, occupò l’Issorio, ed avendo arrestato una quindicina di quelli che erano rimasti lì, li fece uccidere la notte stessa.
Le domande di comprensione non risultavano particolarmente complesse, mentre non facilissimo era il confronto fra tre luoghi dei due brani, anche perché le indicazioni erano un po’ vaghe (Si mettano a confronto i seguenti passi, esprimendo le proprie osservazioni e valutazioni).
La prima coppia era sui componenti del gruppetto di disertori (Nam cum quidam adulescentuli, hostium adventu perterriti, ad Thebanos transfugere vellent et locum extra urbem editum cepissent e τῶν πάλαι τινὲς ὑπούλων καὶ πονηρῶν ὡς διακόσιοι συστραφέντες κατελάβον τὸ Ἰσσώριον, οὗ τὸ τῆς Ἀρτέμιδος ἱερόν ἐστιν, εὐερκῆ καὶ δυσεκβίαστον τόπον): per Cornelio Nepote erano dei ragazzini spaventati (adulescentuli hostium adventu perterriti) di numero imprecisato, mentre per Plutarco erano ben 200 cittadini da tempo oggetto di sospetto per comportamenti non limpidi (τῶν πάλαι τινὲς ὑπούλων καὶ πονηρῶν ὡς διακόσιοι) e l’autore fa vedere di conoscere bene anche il toponimo del luogo in cui si radunano (una collina con annesso tempio di Artemide), mentre lo scrittore romano fa il vago (locum extra urbem editum).
La seconda coppia accostava il diverso stratagemma adottato da Agesilao; per Nepote il re Spartano finge di lodarli per l’iniziativa (Agesilaus, qui perniciosissimum fore videret, si animadversum esset quemquam ad hostis transfugere conari, cum suis eo venit atque, ut si bono animo fecissent, laudavit consilium eorum, quod eum locum occupassent; id se quoque fieri debere animadvertisse), mentre in Plutarco finge di credere che loro abbiano frainteso un suo ordine e li invita a sparpagliarsi altrove (φοβηθεὶς τὸν νεωτερισμὸν ὁ Ἀγησίλαος… μεθ ̓ ἑνὸς οἰκέτου προσῄει, βοῶν ἄλλως ἀκηκοέναι τοῦ προστάγματος αὐτούς· οὐ γὰρ ἐνταῦθα κελεῦσαι συνελθεῖν οὐδὲ πάντας, ἀλλὰ τοὺς μὲν ἐκεῖ – δείξας ἕτερον τόπον -, τοὺς δὲ ἀλλαχόσε τῆς πόλεως). In entrambi i casi, Agesilao è ben consapevole del rischio suscitato dall’ipotesi di una diserzione o peggio (Agesilaus, qui perniciosissimum fore videret, si animadversum esset quemquam ad hostis transfugere conari e φοβηθεὶς τὸν νεωτερισμὸν).
Vengono messe infine a confronto le due diverse conclusioni del brano: nel biografo latino finisce un po’ a tarallucci e vino con i ragazzini recuperati alla causa (Sic adulescentis simulata laudatione recuperavit et adiunctis de suis comitibus locum tutum reliquit. Namque illi aucti numero eorum, qui expertes erant consilii, commovere se non sunt ausi eoque libentius, quod latere arbitrabantur quae cogitaverant), mentre secondo lo storico greco 15 dei sovversivi vengono fatti uccidere la notte stessa e si immagina che anche agli altri non sia andata benissimo (Οἱ δὲ ἀκούσαντες ἥσθησαν οἰόμενοι λανθάνειν, καὶ διαστάντες ἐπὶ τοὺς τόπους οὓς ἐκεῖνος ἐκέλευσεν ἀπεχώρουν. Ὁ δὲ τὸ μὲν Ἰσσώριον εὐθὺς μεταπεμψάμενος ἑτέρους κατέσχε, τῶν δὲ συστάντων ἐκείνων περὶ πεντεκαίδεκά τινας συλλαβὼν νυκτὸς ἀπέκτεινεν); in entrambi i casi, infine, i mancati disertori sono convinti di averla fatta franca e di non essere stati scoperti (quod latere arbitrabantur quae cogitaverant e ἥσθησαν οἰόμενοι λανθάνειν).
Tutto sommato, un bel compito e, oso dire, meglio di Isocrate, non fosse stato per l’incertezza testuale nel brano latino…
(see you next year!)
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