bohemian bohème – 5
Come colonna sonora del viaggio, ho fatto una scelta radicale ed ho caricato sull’iPod Shuffle soltanto gli ultimi quattro dischi dei Pet Shop Boys (Yes, Elysium, Electric ed il recente Super); scelta monotematica dovuta un po’ alla dimensione mitteleuropea degli ultimi due ed alle atmosfere cupe di Elysium, non fuori posto in un paese di confine, nel quale la percezione di quanto sta accadendo mi è parsa, nei pochi giorni trascorsi, praticamente nulla.
La Budapest che abbiamo visitato è, comprensibilmente, quella turistica, fatta di un Parlamento che pare un’immensa cattedrale gotica, di ponti di ferro che attraversano il Danubio, di grandi marche che aprono il loro negozio nelle vie del centro (nel 1990 ricordo un Benetton, ora c’è Tommy Hillfinger – e, come allora, la clientela mi è parsa solo straniera), il tutto sotto un cielo ora solare ora plumbeo:
La piazza in cui ricordo di aver comprato dei dischi e che allora era deserta ora è piena di stand che vendono cibo ai turisti e pare un mercatino perenne, mentre il maestoso Piazzale degli Eroi è proprio come me lo ricordavo, persino per il vento primaverile che lo attraversa.
Eppure, anche se le cose sono cambiate ed i muri sono caduti, tutto pare uguale, su entrambe le rive del Danubio – there’s nothing to defect to anymore, come dimostra Building a wall che diventa Go west:
Ed ecco che una canzone, originariamente incisa dai Village People per celebrare l’edonismo gay di San Francisco, è diventata negli anni ‘9o la canzone della diaspora verso occidente dai paesi del blocco sovietico ed ora la canzone della diaspora dei profughi che cercano di entrare in Ungheria e quindi in Europa… Life is peaceful, there.
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