the game is never over
In un’epoca di serie televisive che si trascinano per anni (Lost) o con decisamente troppe puntate a stagione (The blacklist, 24), con Sherlock ci troviamo invece solo con tre episodi alla volta (per quanto durino una 90ina di minuti ciascuno), realizzati con una cura ed un’attenzione che ha del maniacale, con un continuo gioco di rimandi e di richiami interni che fa venire comunque il mal di testa.
Una tale cura ha la controindicazione che i tempi di realizzazione delle stagioni sono angosciantemente lunghi (tre episodi ogni due anni!), e così, dopo aver rapidamente recuperato il tempo perduto (qui la prima stagione, qui la seconda) ho visto anche la terza e sono già in crisi di astinenza (solo in parte colmata da un episodio speciale uscito a gennaio scorso, The abominable bride, ambientato a fine ‘800 ma con intriganti riferimenti discronici al presente).
Anyway, in The eampty hearse capiamo (più o meno) come Sherlock abbia fatto a non morire a fine seconda stagione e lo troviamo alle prese con una rievocazione storica dell’incendio al parlamento, mentre in The sign of the three deve fare da testimone al matrimonio di Watson – l’episodio migliore è certamente il terzo, His last vow, in cui si gettano le basi di quella che si preannuncia come una grande stagione e che ci aspetta, pare, a gennaio 2017…
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