just goths, not gothic lolitas
La data del 476 per la caduta dell’Impero Romano d’Occidente sta lì più che altro perché fa comodo agli autori di libri di storia delle medie, considerato che, quando fu deposto Romolo Augustolo, praticamente non se ne accorse nessuno.
La situazione era già complessa, come racconta chi ne sa di più di noi, nel III secolo, quando, dopo i Severi (creativi anche loro, eh) e dopo un cinquantennio di anarchia militare, Diocleziano prima e poi Costantino tentarono di rimettere in piedi l’Impero, con editti dei prezzi ed editti di Milano dalla svariate conseguenze.
Nel IV secolo, comunque l’Impero sembrava cavarsela ancora discretamente, con confini più o meno sicuri (ad Oriente coi Persiani si faceva una campagna militare un anno sì e un anno no, ma in generale i due Imperi si guardavano in cagnesco senza tentare di invadersi seriamente; a sud del maghreb c’erano nomadi tutto sommato innocui ed al di là del Reno si era trovata una qualche forma di convivenza coi Germani) ed imperatori non terrificanti.
Le cose cominciarono a cambiare dalle parti del Danubio, quando i Goti (Germani anch’essi, ma i Romani non erano filologi indoeuropeisti) cominciarono ad agitarsi per l’arrivo degli Unni e a chiedere asilo all’imperatore d’Oriente, Valente.
Un’emergenza umanitaria, diremmo oggi, che l’imperatore (o, meglio, i suoi ufficiali, perché lui stava ad Antiochia, ad organizzare, sorpresa!, una campagna contro i Persiani) gestì in maniera disastrosa, dando il via libera ad un’invasione che, culminata con la battaglia di Adrianopoli del 378, avrebbe cambiato per sempre la storia dell’Impero Romano e segnato una volta per tutte i distinti destini dell’Occidente e dell’Oriente (spoiler: da Teodosio in poi gli orientali mandano i Goti ad ovest e si mettono a fare i bizantini).
Per saperne di più, c’è il bellissimo 9 agosto 378 – Il giorno dei barbari di Alessandro Barbero che, pur essendo poco più di una parafrasi di Ammiano Marcellino (e non poteva essere altrimenti, dato che non navighiamo in un mare di fonti d’epoca, diciamo), racconta quegli anni con una scrittura limpidissima in cui si incontrano figure nebulose ma affascinanti e si assiste al trionfo del cattolicesimo perché, sì, l’inetto Valente era pure ariano, come insiste a ricordarci il sempre equilibrato sant’Ambrogio (quello che giustificava gli incendi delle sinagoghe, per dire) invitando Graziano a non avere paura dei Goti perché la rovina di Valente era stata la giusta punizione per le persecuzioni inflitte ai cattolici…
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