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E ci vollero tre stagioni (1, 2 e 3) perché Star Trek – Enterprise sviluppasse il suo pieno potenziale, purtroppo fuori tempo massimo, perché ormai il pubblico aveva smesso di stargli appresso ed il network su cui andava in onda era moribondo – la quarta stagione fu dunque l’ultima.
E fu davvero un peccato, perché, prontamente abbandonata l’insulsa ‘guerra fredda temporale’ (nei due episodi iniziali della stagione, Storm front I e II) e con Manny Coto alla guida come produttore esecutivo, Enterprise mise insieme una stagione oggettivamente ben fatta, a cavallo tra la nostalgia e l’innovazione.
Oltre a singoli episodi notevoli (Home, Observer effect), la caratteristica della stagione fu quella di costruire brevi archi narrativi, capaci di andare a fondo nella mitologia di Star Trek (le guerre eugenetiche ed i cuginetti di Khan, creati dal dottor Soong, prima che un suo discendente si desse alla cibernetica e creasse Data; le vicende vulcaniane in cui una giovane T’Pau è sospettata di terrorismo ma è in realtà luterana; i tre episodi sul megacomplotto romulano; i due episodi integralmente ambientati nell’universo parallelo di Mirror mirror al tempo della serie originale; la spiegazione – finalmente – di perché i Klingon della serie originale sono diversi da quelli successivi) o di affrontare temi nuovi, e significativi, come quello della xenophobia isolazionista (Demons e Terra prime).
Peccato solo che l’ultima puntata, These are the voyages, sia un mediocre episodio di The next generation ed è meglio fare finta non sia mai esistito…
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