sono una cara persona, quando ottengo quello che voglio
Dopo sei stagioni oggettivamente intriganti e ben riuscite (per il genere, di cui è comunque l’euretès), la settima stagione di Dallas comincia, in un primo momento, mostrare qualche segno di stanchezza e di soluzioni narrativamente ‘creative’:
– ad esempio, tutta la vicenda di chi ha il controllo della Ewing Oil (Bobby? JR? un fondo fiduciario?) scivola completamente sui binari della mia indifferenza, sarà perché sono vent’anni che ho smesso di preoccuparmi di chi ha esattamente il controllo della Forrester Creation a Beautiful
– il tira-e-molla tra Bobby e Pamela, per quanto topico, mi pare forzato, anche se il nuovo triangolo con Priscilla Presley è divertente
– la cosa di Mike Trotter (il mio mito della stagione precedente) che finisce paralizzato dalla pancia in giù è lo stesso identico plot che avevano usato per non ricordo quale amante di Sue Ellen
– il tracollo psicotico del piccolo John Ross non porta a niente di significativo (chessò, avrebbe potuto scappare di casa e chiedere asilo politico a Cuba) anche se la liason tra Sue Ellen ed il counsellor del bambino che diventa il suo nuovo toy boy ha i suoi momenti:
(sì, è l’attore che fa il toy boy – purtroppo la foto non viene da Dallas)
– ad un certo punto torna la matriarca (l’attrice era stata via per 1/3 della stagione per problemi di salute o perché voleva più soldi, non ho capito) con annesso fidanzato. La cosa più intrigante è la sorella di quest’ultimo, che pare Alexis di Dynasty quanto a cinismo e machiavellismo solo che è talmente schizofrenica che di solito parla texano per passare ad un inglese oxfordiano quando fa la cattiva. Ed è così imbecille da scrivere sul diario tutti i suoi deliri psicotici e confessare così i suoi omicidi riusciti e/o tentati e JR (!) fa la figura dell’eroe.
– ed il finale di stagione è praticamente Who shot Bobby?, anche qui scelta non originalissima…
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