ch’Amor è piena cosa di paura
Dopo vent’anni di lavoro e di studio, il Centro di studi filologici e linguistici siciliani ha pubblicato qualche tempo fa un’edizione (azzarderei definitiva) de I poeti della Scuola Siciliana, cioè l’inizio dell’avventura dell’italiano come lingua letteraria.
A metà del XIII secolo, come sanno tutti i bravi liceali, presso la corte siciliana di Federico II di Svevia (che da piccolo pensavo fosse svedese), si verificò il ‘trapianto’ della lirica provenzale in italiano (o, meglio, siciliano, ma, ed anche qui sono cose note, i copisti toscanizzarono i testi, per cui del dialetto originale resta ben poco, per quanto io sia fermamente convinto che se ne sia ricordato Manzoni per l’improbabile rima nui/lui nel Cinque Maggio), una lirica che, abbandonando qualsiasi riferimento politico, si concentrò sulla tematica amorosa, aprendo la strada all’esperienza stilnovista e quindi a Petrarca e da lì a praticamente tutta la poesia italiana degli otto secoli seguenti (e a Canzone di Lucio Dalla).
Il primo volume di questa preziosa edizione è interamente dedicato a Giacomo da Lentini (per vostro amor fui nato / nato fui da Lentino; / dunqua debb’esser fino / da poi ch’a voi son dato, come chiude la canzone Madonna mia, a voi mando), il ‘notaro’ (Lo vostro amor, ch’è caro / donatelo al notaro / ch’è nato da Lentino) che passerà alla storia per aver inventato il sonetto, forma poetica che avrà fortuna quasi uguale al tema amoroso che tratta, anche fuori dall’Italia (Shakespeare!).
L’edizione è certamente rivolta ad un pubblico di specialisti, con una densissima introduzione, che spazia dalla filologia (pare che tutto il corpus derivi dal Codice Vaticano 3793) ai complessi rapporti di Giacomo con le sue fonti provenzali; seguono i testi (canzoni, sonetti, le tenzoni con il misterioso ‘abate di Tivoli’ e con Iacopo Mostacci e Pier delle Vigne sulla natura dell’amore ed alcuni testi di dubbia attribuzione), con ricco preambolo e puntualissime note (a me l’abitudine di mettere le note in fondo al testo e non in calce ai singoli versi urta enormemente, mo’ l’ho detto) ma chiunque resterebbe affascinato da una cosa come Meravigliosamente.