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vattelapesca

8 Maggio 2014

holdencolomboA scoprire e a leggere la nuova edizione di The catcher in the rye di Salinger uscita tipo ieri da Einaudi il mio primo pensiero è stato SACRILEGIO.

Hanno infatti deciso di abbandonare la classica traduzione italiana di Adriana Motti e di commisionarne una nuova a Matteo Colombo (uno che di solito traduce Chuck Palahniuk, per dire).

Ora, Il giovane Holden (per lo meno il titolo italiano è rimasto) è un libro fondamentale nella storia del Novecento e la mia bibbia personale (lo so, non sono proprio originale) e la sua lettura (e rilettura, plurima) in inglese ed in italiano è una sorta di rito quasi annuale cui mi sottopongo (e non solo quando capita di leggerlo a scuola), per cui affrontare la nuova traduzione è come vedere un film che si sa a memoria e trovare delle scene, dei momenti, delle luci che prima non c’erano (come quando rimasterizzano e ammodernano Star Wars, ma più brutalmente).

Spariscono così i vattelapesca o l’ infanzia schifa di un tempo, sostituiti da stronzate e coglioni che non mi aspettavo e che, va detto, riflettono meglio l’impianto linguistico originale (Salinger ha tipo inventato goddamn come aggettivo) e spiegano, almeno in parte, le censure, per quanto ridicole, di cui è stato vittima in patria.

Il lavoro era improbo e Matteo Colombo se l’è cavata bene, ma quel vecchio linguaggio, che già ieri suonava invecchiato, aiutava ancora di più a percepire quel senso di alienazione che pervade la storia di Holden e un po’ mi manca.

Spero solo che abbiano il buon senso di tenere in commercio entrambe le traduzioni, anche solo a testimoniare che, se Holden è sempre lo stesso, noi siamo cambiati. Parecchio.

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