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Una delle amicizie più affascinanti della letteratura italiana è quella sorta tra un trentasettenne Eugenio Montale ed un giovane critico poco più che ventenne, Gianfranco Contini, che a Montale dedicherà poi i saggi di Una lunga fedeltà, il cui bellissimo titolo richiama la dimensione umana più che quella accademica del loro rapporto.
A testimoniare questa lunga fedeltà, se si accetta il morboso compiacimento del leggere una corrispondenza privata, è la raccolta delle lettere che i due si scambiarono tra il 1933 e tra il 1978 (dal momento in cui Montale stava allontanandosi dagli Ossi di seppia – di cui era da poco uscita la terza edizione – per le Occasioni fino alla disincatata Satura ed all’ultimo Quaderno – non so se nel complesso ho fatto bene o male a pubblicare il libro, scrive nell’ottobre del ’77), pubblicata da Adelphi con il curioso titolo Eusebio e Trabucco (classici soprannomi montaliani, quasi corrispondenti maschili delle varie Clizia, Volpe e Mosca).
Per quanto non sia sempre facile ricostruire il contesto delle missive (spesso così astruse da parere scritte in codice ed inoltre non sono state conservate tutte, per cui vi sono diversi vuoti temporali e logici fra una lettera e l’altra), Montale è sempre Montale (mi son visto persino catalogato fra gli ungarettiani!, 12 luglio 1933; pare inoltre che Ungaretti gli volesse cavare un occhio con la forchetta, racconta altrove Saba), e la scrittura privata si fa molto più libera di quella pubblica (di solito scrivo in condizioni di cinico autocrontrollo, 15 maggio 1939 e qui scrive + chiare, come un adolescente, 24 novembre 1939) e Contini conferma la sua fama di critico (la quarta parte del tuo libro – si riferisce alle Occasioni – è la cosa più europea che si sia scritta in Italia in questo secolo, 25 ottobre 1939) e di osservatore attento della storia (funziona, questa faccenda dell’Italia libera?, 1° ottobre 1945).
Oltre ai contenuti, è davvero curiosa la lingua in cui due si scrivono, con frequenti italianizzazioni di parole straniere che paiono venire dritte da una pagina di Fenoglio (domenica quittiamo Genève, 11 settembre 1947) o da una timeline di Twitter (in una lettera del 1948 appare un quotarmi, anche se non mi è chiarissimo in che senso)
A partire dagli anni ’50 le lettere si fanno più rare e talora più fredde, probabilmente perché Contini guardava con sospetto alla liason di ‘Eusebio’ con Volpe, considerata la sua vicinanza a Mosca, per poi tornare fitte nel decennio succesivo – con l’occasione di unire alle lettere degli allora inediti, come la bellissima La storia, allegata ad una lettera dell’ottobre 1969 (ti accludo un’altra poesia in due parti… sempre nel caso che ti sembri ne valga la pena, altrimenti passala nel basket) che va sempre bene come epigrafe, di qualsiasi cosa:
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi
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