la banalità del bene
Come si diceva qua, se parlare di Platone è difficile, parlare di Socrate è semplicemente impossibile, considerato che, come noto, non scrisse nulla, lasciando (magari anche senza essere d’accordo!) che ne parlassero Aristofane, Senofonte, Aristotele e, appunto, Platone.
Premesso che sulla questione socratica tendo ad essere più agnostico che altro, un piccolo classico contemporaneo resta la Introduzione a Socrate di Francesco Adorno, vecchio libretto della Laterza aggiornato comunque una quindicina d’anni fa.
Adorno non si limita alla rassegna delle fonti ma costruisce pure lui un “suo” Socrate, mettendone in luce aspetti cui Platone solo accenna e scrivendo così pagine notevoli per quanto graziosamente sofistiche, che certamente Platone non avrebbe sopportato:
“(Il sapere di Socrate) è un sapere che si attua nel realizzare pienamente il sé che ciascuno è in una consapevolezza critica dei propri limiti e perciò delle proprie concrete possibilità, ogni volta sapendo come è bene attuare il proprio mestiere e, dunque, a un tempo sé come uomo, in rapporto agli altri uomini, ché già ciascuno è sé in quanto è più di uno, è sé in quanto è relazione con gli altri, in un farsi con gli altri. Sotto questo aspetto Socrate taglia alla radice ogni fondazione della propria moralità, sottolineando che non v’è moralità, cioè uomo, se non v’è dubbio”.