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it’s easy when you’re big in japan

10 agosto 2013

ruthcrisantemoUno dei miei cavalli di battaglia è il paragone tra shame culture e guilt culture, applicato al mondo omerico a partire dagli studi di Dodds.

Come è noto, Dodds si è in realtà limitato a legare al mondo iliadico quanto Ruth Benedict aveva studiato riguardo alla cultura giapponese in un lavoro che, per quanto datato e metodologicamente indebolito dalle circostanze in cui fu composto, resta una pietra miliare dell’antropologia culturale, Il crisantemo e la spada.

Nel giugno del 1944, in piena II guerra mondiale, il governo statunitense commissiò alla Benedict (una donna! negli anni ’40!) un’analisi cultura dei giapponesi, allo scopo di conoscere il proprio nemico e poter immaginare una ricostruzione del Giappone postbellico tale da evitarne una revanche nazionalistica che avrebbe trasformato il sud est asiatico nei nuovi Balcani; Il crisantemo e la spada, pubblicato poi a guerra finita, è il risultato di questa curiosa analisi antropologica, condotta tra l’altro senza mettere piede in Giappone ma basata soltanto su fonti letterarie/cinematografiche e testimonianze di giapponesi residenti negli USA o documentazioni di visitatori occidentali. Malgrado i limiti metodologici di tale impianto e per quanto, penso, la società nipponica del 2013 non sia speculare a quella degli anni ’40, resta un lavoro affascinante e densissimo.

Il grecista resta colpito di fronte a pagine di propaganda che sembrano davvero un’elegia di Callino o Tirteo e di fronte ad un mondo in cui, esattamente come in Omero, l’evitare la vergogna (aidòs in greco, haji in giapponese) è la spinta principale all’azione, un mondo in cui la vita è vista come un continuo pagare il debito (on) che si deve all’imperatore (chu) ed ai propri genitori (ko) in un’ottica di autosacrificio lontana anni luce dall’idea cristiana di sacrificio come conquista per il futuro – nella shame culture, il sacrificio è per pagare un debito al passato ed al presente, per ringraziare di esistere.

E come Snell aveva scritto pagine bellissime sui diversi modi in cui Omero esprime l’idea del “vedere”, analoga densità semantica si trova nelle pagine sui termini giapponesi per indicare “grazie”, che di solito valgono qualcosa come  “ho perso la mia reputazione per il fatto di accettare questo on, in quanto non è confacente alla mia situazione il trovarmi in una posizione così umile, per cui mi rammarico e umilmente vi ringrazio”. Che poi in giapponese è una parola sola, katajikenai.

5 commenti leave one →
  1. 12 agosto 2013 7:59 AM

    “Come è noto”…. Ops! A me non era noto, e senza saperlo per anni ho utilizzato con i miei studentelli imbevuti di manga e anime gli esempi di etica giapponese descritti in tali produzioni per spiegare la shame culture omerica. Non mi sbagliavo.

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