de coniuratione rutilii
Grazie alle indicazioni di una studentessa, ho potuto vedere il film di cui parlavo qui.
Il Rutilio che ne viene fuori è solo in parte coincidente con quello del suo poemetto, qui il suo livore anticristiano ed antigoto è particolarmente accentuato e l’amarezza del personaggio mi pare annulare le altre sfaccettature del suo animus.
Quello che ne viene fuori è la profonda solitudine di un uomo in un mondo che non risconosce più e che viene, nel film, tradito anche dalle persone di cui si fidava di più, come il Palladio per cui, nel poemetto, aveva splendide parole (Tum discessurus studiis urbique remitto / Palladium, generis spemque decusque mei; / facundus iuvenis Gallorum nuper ab arvis / missus Romani discere iura fori. / Ille meae secum dulcissima vincula curae, / filius affectu, stirpe propinquus habet).
Lo sceneggiatore immagina poi che il vero motivo del reditus in Gallia non sia la necessità di controllare la situazione dei suoi possedimenti dopo il passaggio dei Goti ma un abbozzo di congiura, che si propone di eliminare l’imperatore (il cristiano Orosio) e sostituirlo con un militare gallico di provata fede pagana, una sorta di nuovo Giuliano che possa riportare Roma agli antichi splendori.
Il coup è, ovviamente, destinato al fallimento ed a Rutilio non resta neanche l’onore di una battaglia di Pistoia. Tristissimo.
Trackbacks