non voglio crescere più
Questa dev’essere la settimana della mia piena adolescenza, perché, oltre alla riedizione di Pop Art, anche il secondo album dei Transvision Vamp è stato ripubblicato su due cd (l’album originale, più lati b, demo, cose dal vivo etc. ).
Con Pop art si fecero notare, ma fu con Velveteen (1989) che divennero onnipresenti e raggiunsero la vetta assoluta (come si diceva, da lì in poi sarebbe stata solo catastrofe), mettendosi esattamente a metà strada tra il prolepop di Stock Aitken Waterman e le vie della Madchester degli Stone Roses e di quelli che sarebbero stati gli anni ‘90, con l’invasione del grunge e l’esplosione dell’europop.
In questo contesto i TV restarono sempre un’eccezione proprio perché non facilmente catalogabili nelle tendenze dell’epoca e, se solo la critica fosse stata un po’ più benevola nei loro confronti (ma la scelta stessa di puntare tutto su Wendy James fu loro e finì col ridurli ad una parodia di se stessi), oggi sarebbero ricordati molto di più.
Che la critica poi non gridasse al capolavoro di fronte a Baby I don’t care resta un mistero:
Il secondo singolo da Velveteen fu The only one. Per la cronaca, quando, intorno al 42° secondo, Wendy James si gira alla sua sinistra e muove il braccio verso qualcuno sugli spalti dell’Arena di Verona, quello sono io:
La si potrebbe anche finire qua, ma nell’album ci sono almeno altre tre cose notevoli, come il terzo singolo (Landslide of love) ma soprattutto il quarto, Born to be sold (in quel periodo andavano molto di moda canzoni che elencassero personaggi famosi, come We didn’t start the fire di Billy Joel o la mitica Hello dei Beloved – se ne parlava qua):
E per finire c’è Velveteen, la canzone. Una cosa da quasi dieci minuti (imparentata con The end dei Doors, pare) che mi ha sempre turbato un bel po’.
Pretenziosa, ma bellissima. Grazie di esserci stati, anche solo se per un paio d’anni.
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