addormentarsi nel signore
Scherzando dico spesso che il cristianesimo è un confuso miscuglio di etica stoica, cosmologia aristotelica, comunitarismo epicureo e psicologia platonica; questo prima però di aver letto un piccolo ma essenziale lavoro di Oscar Cullmann, Immortalità dell’anima o resurrezione dei morti? per il quale il cristianesimo (per lo meno quello delle origini) proprio non ha niente a che fare perlomeno con Platone.
Cullmann (siamo negli anni ’50, eh) parte da un confronto tra la morte di Socrate e quella di Gesù, con l’analisi di alcuni punti in comune (i discepoli nel carcere del Fedone, i discepoli ai Getsemani) ma soprattutto delle macroscopiche differenze, per le quali Socrate accetta serenamente la morte “scommettendo” sull’immortalità dell’anima mentre Gesù ha oggettivamente paura della morte perché, ed è qui il nodo delle argomentazioni del teologo luterano, la morte non è la “sorella morte” di un san Francesco ma è il male, frutto del peccato entrato nella storia da Genesi in poi e non originariamente immaginato e pensato da Dio, mentre per la filosofia greca la morte sarebbe qualcosa di estremamente naturale.
Morte nemica, dunque, e non amica come per il pensiero greco, in quanto liberatrice dal carcere corporeo (soma/sema!). I primi cristiani, insomma, non avrebbero creduto ad un’anima immortale (concetto, se non capisco male, pure estraneo all’ebraismo) ma appunto ad una resurrezione di anima e corpo in un nuovo atto creativo, ora compiuto in Gesù e non ancora compiuto per gli altri uomini (a Cullmann basta una riga in una nota, “in nessun luogo di parla di purgatorio”, p. 51, per sbarazzarsi del cattolicesimo), che, se morti, dormono in attesa della resurrezione…