“cento” non è solo un numero
Come dicevo qui, i centoni sono uno dei prodotti più curiosi della letteratura tardo-antica.
In pratica sono il risultato di un “taglia e cuci” dei versi di un autore fatto per comporre una nuova opera, con tutt’altro significato; il buon Ausonio aveva a suo tempo composto un pornografico Cento nuptialis con pezzi di Virgilio, ma altri si sono proposti intenti più edificanti, come la principessa bizantina Eudocia che, a metà del V secolo dC, pensò bene di raccontare i Vangeli con versi costruiti su pezzi di Iliade ed Odissea (il lavoro di Eudocia ed altri testi simili stanno in questa fondamentale edizione).
Non tanto al testo del suo Cento quanto ai meccanismi compositivi è dedicato il bel saggio di M. D. Usher, Homeric stitchings, in cui si cerca di dimostrare (con successo, direi) che Eudocia è ben inserita in quella lunga tradizione rapsodica che dal ‘medioevo ellenico’ in poi ha usato l’esametro per raccontare cose, attingendo ad un patrimonio (che poi è stato fissato, non davvero una volta per tutte, nel testo omerico a noi giunto) formulare (la lezione di Parry resta fondamentale), ricchissimo di spunti e di richiami intertestuali.
La complessa intertestualità del lavoro di Eudocia (esterna, in riferimento ai versi omerici; interna, per quanto riguarda il suo stesso Cento ed i suoi richiami intestini) porta a sottilissime rivelazioni, come quando i versi che presentano Pietro “traditore” di Gesù sono tratti dall’episodio in cui Odisseo medita sul tradimento delle sue ancelle, come quando gli Achei che recuperano il cadavere di Patroclo servono per i discepoli che depongono Gesù nella tomba, come quando Eva è “funesta” esattamente come l’ira di Achille o, ancora, i bellissimi versi della Madonna che piange il figlio, con le parole ora di Briseide, ora di Andromaca, ora di Teti.
E’ come, insomma, se Eudocia avesse usato non solo i versi di Omero, ma anche i suoi sentimenti…
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